La distanza fisica implica la distanza emotiva?

Come siamo abituati a misurare la distanza? In centimetri, metri, chilometri o in gesti d’affetto come una carezza o un sorriso?

“Mi sento così solo che posso percepire la distanza tra me e la mia presenza.”

Fernando Pessoa

Seppur tramite un device, ci si trova a conversare insieme e a definire questo come un momento storico, economico e personale caricato di grande incertezza. I contatti con le persone sono cambiati, hanno avuto bisogno di essere risignificati da ciascuno di noi e sono in continuo adattamento.

Ci siamo ritrovati, nei minimi e fugaci momenti di potenziale interazione, nella posizione di riscoprire i propri moti di gentilezza. Sorridiamo di più quando incrociamo lo sguardo di un altro al supermercato. Tuttavia, non appena ci ricordiamo di avere una mascherina addosso, ci sforziamo di caricare di un’intensa emotività i gesti, le parole e i nostri occhi, così che possano arrivare all’altro.

I vuoti dati dall’assenza della presenza sono una fonte di stress e di pensieri sfavorevoli, tanto da spingerci a “fare sempre e fare di più” per riempirci al punto tale da non potersi fermare a pensare.

Riflettiamo su come il concetto di distanza ci richiami come implicito la relazione: se siamo distanti, siamo distanti da qualcosa o da qualcuno. Non è solo una condizione fattuale.

Disposizioni nello spazio, spazio personale e implicazioni psicologiche

Negli studi sulla prossemica, Hall classifica lo spazio personale. Esso è inteso come la distanza che teniamo dal prossimo, condizionata dai rapporti che intratteniamo con esso.

Hall distingue tra:

  • Distanza intima (0-60 cm): Tipica dei rapporti intimi (innamorati, genitori e figli, amici molto stretti o sport fisici);
  • Distanza personale (60-120 cm): rapporti amicali
  • Distanza sociale (120-300 cm): contatti pubblici o professionali;
  • Distanza pubblica (oltre i 300 cm): contatti formali (es. tra chi parla e chi ascolta in un convegno)

I fattori che, inoltre, influenzano la distanza sono:

  • Il genere: le femmine tendono a mantenere una distanza ridotta tra di loro rispetto ai maschi;
  • Le caratteristiche personali: similarità fisiche e affinità psicologiche aumentano il grado di vicinanza;
  • I contesti: le strutture gerarchiche aumentano la distanza nei rapporti sociali in base al grado delle persone (come al lavoro o all’università);
  • L’ età: con la crescita si apprendono le differenze di distanza, inoltre le distanze varieranno in base alle fasi di sviluppo (un adolescente sarà portato a distanziarsi maggiormente dalla famiglia e a ricercare maggiore vicinanza con il gruppo dei pari);
  • La cultura: nelle culture mediterranee le distanze sono inferiori, a “distanza di avambraccio”, a differenza delle culture nordiche in cui la distanza normale è di “un braccio”.
  • Le caratteristiche personali: ad esempio l’essere più o meno inclini ad aprirsi all’altro;
  • Le caratteristiche fisiche e ambientali: più una stanza è piccola, più tendiamo a necessitare di maggiore spazio oppure nei luoghi di culto o di raccoglimento tendiamo ad aumentare le distanze.

Al di là della mera classificazione, l’accento importante da porre in questo momento è, forse, sul limite e la costrizione di non poter scegliere liberamente quali spazi definire in base alle nostre relazioni. Possiamo comunque essere attivi ed agire, tuttavia all’interno di obblighi che cambiano la strutturazione del nostro spazio a più livelli. Siamo tutti costretti a mantenere delle distanze sociali e spesso non rappresentative della relazione che abbiamo con l’altro.

Come stiamo nella distanza?

“Abitare la distanza” è una condizione paradossale che mette in relazione uno stare dentro e fuori, l’essere vicini e lontani e una differenza non solo in relazione ad un luogo, ma di come stiamo in relazione ad essa.

Il filosofo Ravatti scriveva sulla distanza: “(…) i temi giusti, o almeno quelli essenziali sono ad esempio la sospensione tra dentro e fuori, quella tra prossimità e distanza, ma anche l’oscillazione tra prima e dopo, e perfino il movimento che ci permette di abitare in questo “tra” (…)”

Tadini, pittore, scrittore e traduttore italiano, dedica un testo alla distanza in cui la rende equiparabile ad un’entità attiva e potente. La distanza è una posizione non solo nello spazio ma anche nel tempo e ci pone di fronte ad un “altro” al di fuori di noi che, anche politicamente se è al di fuori da certi confini, diventa “straniero” rispetto a noi.

Le forme di distanza che sperimentiamo sono molteplici, soprattutto nell’intimità delle nostre relazioni. È importante distinguere, quindi, tra distanza fisica e distanza emotiva. L’essere lontani fisicamente porta ad un concetto di luogo, mentre la distanza emotiva porta con sé delle prospettive diverse, una forma di allontanamento. La distanza emotiva è da distinguersi, però, dal distacco emotivo.

Le relazioni possono sostenere la distanza, ma più difficilmente tollerano il distacco.

Ecco allora il timore e la paura che una nostra distanza prolungata, seppur forzata e non desiderata, possa diventare un distacco.

Come possiamo vivere diversamente la distanza?

Come aiutarci nel vivere la distanza diversamente? Mettendoci in ascolto, ad esempio. Entrando in connessione con noi, riassaporando le relazioni e godendo delle esperienze. Chiedendoci come stiamo noi e chiedendo all’altro come sta. Vivendo la nostra onda di emozioni e riconoscendo alla relazione con l’altro un’essenza più potente dell’assenza fisica. Anche a distanza è possibile muoversi insieme, in coppia, in famiglia, in gruppo. Nei legami ci sono anche delle risorse messe in comune in uno scambio e condivisione reciproca.

Oltre ogni imposizione e nel rispetto dei limiti, siamo noi a poter scegliere, siamo noi che dobbiamo mantenere e solleticare la nostra agentività. Siamo sempre noi a poter dare un significato ed un valore diverso alla distanza.

Bibliografia:

P. Ravatti, Abitare la distanza: l’isola Trieste, p. 212
M. Costa, Psicologia ambientale e architettonica. Come l’ambiente e l’architettura influenzano la mente e il comportamento
E. Tadini, La distanza, Einaudi, 1998

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