Cosa rende un affetto “stabile”? I criteri dei nostri rapporti e relazioni sono quantitativi o qualitativi?
Negli ultimi giorni si sono aperti lunghi dibattiti e precisazioni a seguito delle dichiarazioni sulla “Fase 2” del Coronavirus. L’argomento più destabilizzante, oltre alle considerazioni sulla nostra economia e salute? Chi sono i fatidici congiunti e gli affetti stabili cui potremmo far visita dalla prossima settimana secondo il Dpcm.
Diversi sono i meme, le battute e i video caricaturali che hanno fatto il giro sui nostri cellulari e sui social in cui si sollevava, alla base, questo tema: “Ma se io non ho rapporti con la maggior parte della mia famiglia ma invece ho un partner o degli amici cui tengo profondamente?”.
Qui, allora, entriamo nel vivo di un significato e di un argomento più ampio.
Sono i legami di sangue a determinare l’importanza delle nostre relazioni? Sono i vincoli matrimoniali? Oppure è un percepire soggettivo, dato dalle proprie esperienze di vita e dalla propria scala valoriale?
Dapprima la specifica sulle visite permesse includeva i parenti e affini, poi, a seguito delle proteste sollevatesi, pare essersi allargata la possibilità di incontro anche a “fidanzati/e e affetti solo se “stabili”. Anche gli amici sono inclusi, quindi, ma solo se “considerati veri” e non una scusa. Quale sforzo ci è richiesto? Quello di valutare i nostri legami, di includere in categorie predefinite i nostri affetti e di quali persone abbiamo la reale necessità di contatto visivo in presenza.
Se da un lato ci porta a riflettere su quali siano le nostre figure di riferimento, dall’altro ci fa regredire rispetto la riscoperta di legami o i cambiamenti che possono essere avvenuti durante il lockdown. Inoltre, non si possono non considerare le differenze di valore attribuite ai propri legami in base alle diverse fasce d’età.
Quali sono le nostre figure di riferimento e come qualifichiamo i nostri affetti?
Secondo una ricerca sulla condizione giovanile in Italia, la principale figura di riferimento che ricopre un ruolo primario nella propria vita è la mamma con una percentuale del 33% (percentuale che sale al 38% tra i giovanissimi tra i 18 e i 20 anni). Per il 26 % questo ruolo è ricoperto da “un amico vero“, mentre il 14% risponde il partner. Il papà si ferma al 9% e seguono poi conoscenti, professori ed educatori. Un giovane su venti (il 5%) dichiara di non avere figure di riferimento.
Se doveste pensare a quante persone importanti sono presenti nella vostra vita, quali sarebbero? Starebbero nelle dita di una mano o più? Gli affetti, inoltre, si possono declinare in due dimensioni: verticale (genitori, nonni, figli etc.) e orizzontale (partner, coniuge, amici etc.). Dopo aver definito i nostri affetti, dovremmo assegnare loro l’appellativo di stabile. Questione spinosa. Scherzando, alcuni scrivono: “Io ho un affetto stabile ma lui non lo sa”. In questa battuta, in realtà, il significato è ricco. Chi stabilisce, infatti, la stabilità di un affetto? Sono io che lo provo nei confronti di qualcuno oppure deve esserci una reciprocità mantenuta nel tempo? E se quello che designo come “il mio affetto stabile” fosse ora caratterizzato da un rapporto conflittuale? Oppure stabili sono semplicemente le relazioni stabilite e mantenute nel tempo?
Per Zygmunt Bauman ci troviamo in una società liquida caratterizzata da un amore liquido contraddistinto da temporaneità, da fragilità, da razionalità e da assenza di fiducia. In quest’ottica ogni rapporto è temporaneo, valido fino ad un certo lasso di tempo; quello in arrivo sarà visto come migliore e, tuttavia, il successivo non sarà mai abbastanza rispetto al precedente. È in questa visione post moderna che si inserisce l’obbligo di assegnare alle relazioni una caratteristica di stabilità? In parte sì, ma gli affetti oggi sono anche altro.
Gli affetti stabili sono collegati all’attaccamento?
Nella nostra vita costruiamo legami affettivi importanti e differenti e, non sempre, questi legami implicano attaccamento.
“Dalla culla alla tomba, la salute mentale di un individuo è strettamente legata alle relazioni con figure di attaccamento che offrono sostegno emozionale e protezione fisica: è chiaro che non solo i bambini piccoli, ma gli esseri umani di tutte le età sono al colmo della felicità e possono adoperare le loro doti nel modo più fruttuoso quando hanno la fiducia di avere alle spalle una o più persone fidate che verranno loro in aiuto qualora insorga qualche difficoltà. La persona fidata costituisce una base sicura da cui il compagno può partire per operare”.
Ci si riferisce all’ attaccamento nei confronti di una persona quando si tratta di:
- Un legame affettivo persistente e non transitorio e riferito ad una persona specifica (es. il migliore amico e non un altro, un ragazzo e non un altro etc.);
- Una relazione emozionalmente significativa;
- La ricerca di un individuo di sicurezza, conforto e il desiderio di mantenere il contatto o la vicinanza con una persona (varia a seconda dell’età)
Tutto d’un tratto ci ritroviamo a dover incasellare le nostre relazioni e posizionarle in un gradiente di intensità
Inoltre, è da considerarsi un altro aspetto: il far entrare nella nostra privacy e nella nostra vita relazionale quelli che per noi sono degli estranei. Che significato può avere, per qualcuno, dover dire da chi ci si sta recando e in qualità di cosa? Si impone di definire delle etichette e categorie alle relazioni senza considerare le implicazioni di questa significazione. Giustificare il proprio legame affettivo ad un estraneo può mettere in una condizione di forte costrizione percepita. Pensiamo, ad esempio, a chi sta scoprendo il proprio orientamento e identità sessuali: si è portati, in questo caso, a fare un coming out obbligato. E chi, invece, non ha un partner o non lo vuole avere, ha meno diritto di entrare in relazione, di nuovo, con chi considera essere il proprio “affetto stabile”?
Nella frenesia delle nostre giornate, in un mondo di libera scelta e di possibilità ci siamo ritrovati improvvisamente a dover sottostare a delle regole imposte da altri. Se prima sceglievamo la leggerezza e la possibilità di andarcene pare che, ora, ricerchiamo le nostre sicurezze, qualcuno o qualcosa cui ancorarci. Dovremmo rispondere ai nostri bisogni– intesi come una necessità che parte dal corpo e la cui risposta ci porta a vivere meglio- oppure ai nostri desideri che ampliano il campo di esperienza personale, di benessere e ci spingono a metterci in cammino verso una direzione?
Bibliografia:
La condizione giovanile in Italia- Rapporto Giovani, Osservatorio Giovani
Bauman, Modernità Liquida
Bowlby, Attaccamento e perdita